La Verità che si porta in scena, vuole stimolare riflessioni sulla condizione culturale umana e sul triste, drammatico e sempre attuale fenomeno della violenza sulle donne, per valorizzarne la forza, il coraggio, il ruolo e la dignità. Evidenziando una demarcazione netta e precisa con un presente sociale assai diverso e più complesso del passato.
Luigi Pirandello fonda il suo pensiero su un rapporto dialettico tra vita e forma, in cui la vita tende a calarsi in una forma restandone prigioniera. Egli pone l’attenzione sulla relatività di ogni cosa, anche sulla verità, poiché essa può essere soggettiva e dipendere dal punto di vista dell’individuo, sfaccettata ed influenzata da molteplici fattori. Durante il processo, infatti, emergono punti di vista diversi sulla Verità, poiché ognuno esprime un visione personale che inevitabilmente è diversa da quella degli altri e manifesta più aspetti della propria personalità in base all’interlocutore o al contesto.
Non esiste una verità assoluta, ma ogni realtà è vincolata al relativismo, col quale ciascun aspetto viene percepito differentemente. “La maschera”, oggetto di scena nel teatro classico, tragica o comica che sia, diventa anche l’identità che ogni individuo sceglie e nelle quali si immedesima, per poter interpretare il suo ruolo all’interno della comunità.
Nella rappresentazione di una realtà culturale del primo 900, fatta di convenzioni e quando il “delitto d’onore” era giustificato e contemplato nell’art. 587 del C.P. (abolito nel 1981), quindi in una dimensione secolare diversa ed in Sicilia, questa novella, meglio di un saggio di sociologia, fornisce profeticamente una risposta anche agli innumerevoli femminicidi attuali che in modo antropologico vengono attribuiti solo alla sopraffazione ed al patriarcato e non anche ad un narcisismo dilagante. Pirandello evidenzia bene e ci aiuta a capire cos’era il patriarcato: “un sistema sociale in cui vigeva il diritto paterno, il controllo esclusivo dell’autorità domestica, pubblica e politica da parte degli uomini, dove persisteva un quadro di convenzioni e ortodossie che non consentiva l’emersione della libera reciprocità e nessuna parità di genere”.
Nella sua grandezza, descrive la sottigliezza dei personaggi e la complessità di ogni forma caratteriale, con le contraddizioni che fanno parte di ogni individuo. Come Dostoevskij, Pirandello scava nell’animo umano e ci stimola ad immergerci nelle nostre profondità, per costruire un mondo interiore più forte, fornendoci le chiavi di lettura per capire ed affrontare la realtà che ci circonda e spiegare le ragioni di un senso del possesso che non ha un imprinting culturale.
Egli esprime una teoria sulle relazioni sociali, in cui l’uomo deve barcamenarsi tra i suoi istinti primordiali e le regole morali imposte dal vivere in società. Se non si raggiunge l’equilibrio tra queste componenti si attiva la “corda pazza” e si agisce come Tararà, il quale perso ogni riferimento valoriale, uccide la moglie, non tanto per il tradimento ma per difendere l’immagine pubblica, “pi l’occhiu di la genti”.
La vittoria dell’apparenza sull’essere, … sulla realtà.